LETTURE ESTIVE UN PO’ CUPE, UN PO’ GOTICHE, UN PO’ ASIATICHE
L’estate non è ancora finita, ma agosto sta volgendo al termine e ho voluto fare un breve recap delle mie letture estive, rendendomi conto di aver letto tutto e niente!
Mi spiego meglio: ho letto tre libri nello stesso periodo, alternandoli e non concludendo neanche uno. Sono tre letture con la L maiuscola, dal mio punto di vista e non solo, per quanto la loro importanza perdura da secoli.
Questa longevità è riferita a: Il Profeta dell’Incubo, il Ciclo del sogno, di H.P. Lovecraft (un nome così, tra tanti) e Il Monaco, di Matthew G. Lewis.
Partiamo dal primo, per ordine e rispetto; colui che (come viene descritto in modo perfetto nella prefazione del libro, da Sergio Altieri) ha ideato forse il più eccelso inganno letterario e culturale di tutti i tempi, il Necronomicon. Non esiste, ma ne parla in modo così convincente da andare a creare un mito nel mito.
Nel Ciclo del sogno, HPL esplora il regno dell’immaginario e del fantastico. Stabilisce parametri, regole e confini della dimensione onirica.
Il Profeta dell’Incubo è composto da 10 storie e -come già anticipato-, visto che questo è uno dei 3 libri che sto alternando, al momento ho letto le prime due: Azathoth, un frammento di qualcosa che avrebbe dovuto essere molto più grande; una pagina in cui Lovecraft riesce a trasportarti in quel vortice di mondo, nella stanza in cui un uomo, solo, contempla le stelle, e Sogni Stregati, Erano i sogni a generare la febbre, o era forse la febbre a generare i sogni?
Passando a Il Monaco, questo romanzo fa parte di una raccolta che ho acquistato un po’ di tempo fa, I grandi romanzi Gotici, di Newton Compton Editori, che di tanto in tanto, adoro spulciare e addentrarmi in un nuovo mondo gotico.
Ho voluto citare la raccolta perché, prima di ogni romanzo, vi è una nota introduttiva che spiega cosa è giusto sapere prima di iniziare la lettura e una breve biografia dell’autore. Queste brevi righe, in libri scritti qualche secolo fa, le trovo una delizia e giusta conoscenza per il lettore.
In questo caso, conoscere la storia di Matthew G. Lewis mi ha permesso di entrare in empatia con i suoi personaggi, capire la scelta di ambientare il romanzo prevalentemente in Spagna, toccando anche altri stati nel vecchio continente.
Il genere gotico ha come un magnetismo nei miei confronti, quando non so cosa scegliere, ne vengo attratta inconsciamente. Non me ne vogliano gli amanti del genere, le mie parole voglio essere tutto tranne che sminuimento del genere, ma trovo che il gotico sia una sorta di soap opera ambientata tra il ‘700 e ‘800, con castelli, fantasmi e fanciulle da salvare, ambientazioni cupe e geniali colpi di scena che ribaltano il sentimento iniziale.
Sono solo all’inizio dell’opera, e anche se si tratta di un testo scritto nella seconda metà del ‘700, lo trovo di una fluidità che si lascia leggere da solo. Il ritmo narrativo scelto dall’autore rapisce il lettore e senza rendersene conto, si è già a metà dell’opera.
Sakura Kazuki ha invece preso decisioni del tutto opposte a Lewis, utilizzando un ritmo narrativo molto lento nel suo Red Girls; ultimo dei 3 libri, non ancora citato.
Sono 456 pagine, ma sembrano il doppio. Non so sia solo una mia sensazione oppure è stato così per tutti i lettori. Puntualizzo che non si tratta di una nota negativa, affatto, solo un dato di fatto e il motivo per il quale non l’ho ancora terminato (ma mi manca davvero poco).
Red Girls è la storia di 3 donne, 3 generazioni, raccontate dalla più piccola delle 3, Toko, cresciuta tra le storie narrate dai componenti della sua famiglia, gli Akakuchiba.
Si definisce “inutile” rispetto alle donne che hanno fatto parte della sua famiglia, ma sarà lei a ricostruire le avventure e disavventure degli Akakuchiba, cercando di risolvere il mistero delle ultime parole pronunciale da chiaroveggente Man’yo: «Tanto tempo fa ho ucciso una persona».
Anche se lenta, questo romanzo ti cattura, vuoi conoscere la storia di Man’yo, Kemari e, soprattutto, scoprire chi ha ucciso e perché.
Una storia con elementi magici e realistici che si sviluppa a pari passo con un Giappone in piena evoluzione durante il dopo guerra.
Nessuno di questi tre libri riesce a prevaricare l’altro, quando il più vicino a me nel momento in cui voglio leggere vince il mio tempo, quando desidero tuffarmi con l’immaginazione in Giappone, a Madrid o in qualche luogo sinistro e tetro, proseguo la lettura.
Sono romanzi completamente differenti l’uno dall’altro, ma degni di essere letti; il mio unico errore è stato accavallarli, ritrovandomi in questa matassa ingarbugliata dalla quale, pian piano, mi sto liberando.
Intendo terminarli tutti e tre, partendo dal presupposto che odio lasciare una lettura interminata -anche se è la peggiore che abbia mai letto, per poterla giudicare devo finirla-, sono letture così belle che sarebbe impossibile il contrario. Magari mi ci vorrà più tempo del solito, ma lo farò, e sono sicura che nel momento in cui girerò l’ultima pagina, mi dispiacerà separarmi da quei personaggi, che siano Walter Gilman, Man’yo Akakuchiba o frate Ambrosio.